Lost in transit

La condizione del viaggiatore in transito, magari di ritorno da un viaggio intercontinentale, è di sospensione temporale e stordimento fisico.

Quattordici ore totali, tra andata e ritorno, spese nell’area partenze/transiti dell’aeroporto di Istanbul, le ho accusate parecchio. Soprattutto quelle del ritorno, arrivato a Istanbul alle 3.30 del mattino, dopo 12 ore di viaggio da Tokyo in cui non ho dormito neppure un minuto, e altre 7 ore da trascorrere prima di poter ripartire per Genova. In queste condizioni è normale perdere completamente il senso del tempo e del sonno. Sai di essere incredibilmente stanco, sai di non dormire da più di 24 ore e lo stesso non puoi fare a meno di girare come un morto vivente tra gli enormi corridoi, i duty free shop tutti diversi che vendono prodotti tutti uguali, gli innumerevoli bar e fast food che ospitano a qualsiasi ora gente che mangia e beve, perché neppure loro sanno su che fuso orario sono regolati, ma sanno di avere fame o sete alle 4 del mattino, qualsiasi cosa significhi.

In un grande hub come l’Ataturk di Istanbul non ti riesce di respirare aria fresca. Se vuoi sfuggire alla perenne e costante aria condizionata, c’è un’unica cosiddetta “terrazza” che in realtà è un cubotto di vetro adibito ad area fumatori, in cui sì ci sono piccoli spiragli in cui, facendosi strada tra il fumo, entra la gelida aria dall’esterno. Ed è ironico che per respirare alcune boccate di aria vera mi sia dovuto avventurare tra i fumatori compulsivi, racchiusi come mandria educata nel loro apposito recinto.

La serie “In Transito” nasce per caso. Mentalmente preparato da settimane per dare il meglio a Tokyo, fotograficamente parlando, mai mi sarei aspettato di essere coinvolto in modo così forte da quella che, sulla carta, doveva essere solo una tappa tecnica, una sbavatura, un incidente di percorso sulla strada verso il Giappone. Non sarò stato certo il primo ad affrontare uno dei non-luoghi più evidenti, ma lo stesso non ho potuto sottrarmi dal dare il mio contributo, con delle istantanee che provano a descrivere lo spaesamento che ho provato in quelle ore.

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Un’utile occasione per riavvicinarmi ad un tipo di fotografia più veloce, che non praticavo da tempo.

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